Foca lavorava come giardiniere a Sinope (Ponto Eusino), dove visse tra il I e il II secolo.
Patronato: Agricoltori, Giardinieri, Naviganti
Emblema: Palma
L’ospitalità, si sa, è dovere di ogni buon cristiano; l’amore
vicendevole ed il perdono fraterno anche. Ma arrivare al punto da
preparare cena, prestare il proprio letto e fornire lenzuola di bucato
ai propri assassini è eroismo puro. Che ci viene insegnato oggi da un
santo dal nome strano ma dalla storicità certa, che gode di una
vastissima devozione tanto in Oriente come in Occidente, al punto che
c’è chi lo festeggia a marzo, chi a luglio e chi il 22 settembre.
Addirittura hanno provato ad “inventare” altri santi con lo stesso nome,
ma l’unico autentico è proprio quello dal mestiere più umile e dalla
testimonianza più coraggiosa, San Foca il giardiniere. La sua vicenda
umana si colloca nei primi secoli dell’era cristiana, sicuramente non
oltre il quarto secolo; le prime testimonianze su di lui arrivano da un
panegirico del V secolo, così stringato, documentato e presentato con
tono di rapida sequenza, come di cronaca giornalistica, da non lasciare
dubbio alcuno sull’autenticità del personaggio celebrato. Dicevamo: Foca
è giardiniere, forse anche benestante, dato che è famoso presso i suoi
contemporanei per la sua generosità verso i poveri e per l’ospitalità
che offre a tutti nella sua casa. Vive a Sinope, un grande porto sul Mar
Nero ed è cristiano, il che, all’epoca in cui vive, non è certo una
scelta di comodo o una semplice tradizione di famiglia, visto che
continuamente i cristiani sono perseguitati e uccisi dall’imperatore di
turno, che in questa maniera si illude di spegnere la nuova religione
che sta prendendo piede. Foca, oltre che generoso ed ospitale, è forse
anche un personaggio in vista; oppure la sua testimonianza è così
limpida e convincente da rappresentare un pericolo per l’autorità
politica. Così viene condannato a morte senza processo e mandano due
sicari sulle sue tracce, con il preciso incarico di eseguire
immediatamente la condanna capitale. Per ironia della sorte i due
sicari, giunti nei pressi di Sinope, bussano proprio alla porta di Foca
per avere informazioni sul “pericoloso cristiano” di cui sono alla
ricerca e si vedono spalancare la porta di quella casa, tradizionalmente
ospitale, offrire un pasto sostanzioso e un buon letto su cui riposare.
Non hanno nessun problema a rivelare a quell’uomo così cortese il
motivo del loro viaggio e non si fanno scrupoli nel chiedergli consiglio
sul modo migliore per giungere in fretta a mettere le mani su quel tal
Foca e così portare a termine la loro missione. Invitati a trascorrere
la notte in quella casa con la promessa di ricevere dal loro ospite
utili indicazioni il mattino successivo, quale non è, al risveglio, la
loro sorpresa nel trovarlo di buon mattino già in giardino, dove ha
appena finito di scavare una fossa. Ma alla sorpresa si aggiunge un più
che comprensibile problema di coscienza, nello scoprire che è proprio
lui quel Foca di cui sono alla ricerca. Che li invita a compiere il loro
dovere, dato che non ha voluto, anche se avrebbe potuto mentre
dormivano, sfuggire ai suoi carnefici, ai quali anzi ha risparmiato
anche la fatica di scavargli la fossa. E in quella lo seppelliscono dopo
averlo trapassato con la spada, in mezzo ai fiori ed agli ortaggi del
suo giardino, umile seme di autentica testimonianza cristiana.
Giardinieri, ortolani e i marinai orientali lo venerano loro patrono.
Viene invocato contro il morso dei serpenti: secondo la tradizione,
chiunque, dopo il morso, aveva la possibilità di toccare la porta della
basilica del martire veniva immediatamente risanato.
Autore: Gianpiero Pettiti
Nessun commento:
Posta un commento