Santa Rita da Cascia
Vedova e religiosa
Vedova e religiosa
Roccaporena, Cascia, Perugia, c. 1381 - Cascia, 22 maggio 1447
Santa
Rita da Cascia, una delle sante più venerate in Italia è stata
beatificata ben 180 anni dopo la sua morte e addirittura proclamata
santa a 453 anni dalla morte. Quindi una santa che ha avuto un cammino ufficiale per la sua canonizzazione molto lento. Rita
ha il titolo di “santa dei casi impossibili”, cioè di quei casi clinici
o di vita, per cui non ci sono più speranze e che con la sua
intercessione, tante volte miracolosamente si sono risolti. Nacque
intorno al 1381 a Roccaporena, un villaggio montano a 710 metri s. m.
nel Comune di Cascia, in provincia di Perugia; i suoi genitori Antonio
Lottius e Amata Ferri erano già in età matura quando si sposarono e solo
dopo dodici anni di vane attese, nacque Rita, accolta come un dono
della Provvidenza. La
vita di Rita fu intessuta di fatti prodigiosi, che la tradizione, più
che le poche notizie certe che possediamo, ci hanno tramandato; ma come
in tutte le leggende c’è alla base senz’altro un fondo di verità. Si
racconta quindi che la madre molto devota, ebbe la visione di un angelo
che le annunciava la tardiva gravidanza, che avrebbero ricevuto una
figlia e che avrebbero dovuto chiamarla Rita. Poiché
a Roccaporena mancava una chiesa con fonte battesimale, la piccola Rita
venne battezzata nella chiesa di S. Maria della Plebe a Cascia e alla
sua infanzia è legato un fatto prodigioso; dopo qualche mese, i
genitori, presero a portare la neonata con loro durante il lavoro nei
campi, riponendola in un cestello di vimini poco distante. E
un giorno mentre la piccola riposava all’ombra di un albero, mentre i
genitori stavano un po’ più lontani, uno sciame di api le circondò la
testa senza pungerla, anzi alcune di esse entrarono nella boccuccia
aperta depositandovi del miele. Nel frattempo un contadino che si era
ferito con la falce ad una mano, lasciò il lavoro per correre a Cascia
per farsi medicare; passando davanti al cestello e visto la scena, prese
a cacciare via le api e qui avvenne la seconda fase del prodigio, man
mano che scuoteva le braccia per farle andare via, la ferita si
rimarginò completamente. L’uomo gridò al miracolo e con lui tutti gli
abitanti di Roccaporena, che seppero del prodigio. Rita
crebbe nell’ubbidienza ai genitori, i quali a loro volta inculcarono
nella figlia tanto attesa, i più vivi sentimenti religiosi; visse
un’infanzia e un’adolescenza nel tranquillo borgo di Roccaporena, dove
la sua famiglia aveva una posizione comunque benestante e con un certo
prestigio legale, perché a quanto sembra ai membri della casata Lottius,
veniva attribuita la carica di ‘pacieri’ nelle controversie civili e
penali del borgo. Già
dai primi anni dell’adolescenza Rita manifestò apertamente la sua
vocazione ad una vita religiosa, infatti ogni volta che le era
possibile, si ritirava nel piccolo oratorio, fatto costruire in casa con
il consenso dei genitori, oppure correva al monastero di Santa Maria
Maddalena nella vicina Cascia, dove forse era suora una sua parente.
Aveva tredici anni quando i genitori, forse obbligati a farlo, la
promisero in matrimonio a Fernando Mancini, un giovane del borgo,
conosciuto per il suo carattere forte, impetuoso, perfino secondo alcuni
studiosi, brutale e violento. Rita
non ne fu entusiasta, perché altre erano le sue aspirazioni, ma in
quell’epoca il matrimonio non era tanto stabilito dalla scelta dei
fidanzati, quando dagli interessi delle famiglie, pertanto ella dovette
cedere alle insistenze dei genitori e andò sposa a quel giovane
ufficiale che comandava la guarnigione di Collegiacone, del quale “fu
vittima e moglie”, come fu poi detto. Da
lui sopportò con pazienza ogni maltrattamento, senza mai lamentarsi,
chiedendogli con ubbidienza perfino il permesso di andare in chiesa. Con
la nascita di due gemelli e la sua perseveranza di rispondere con la
dolcezza alla violenza, riuscì a trasformare con il tempo il carattere
del marito e renderlo più docile; fu un cambiamento che fece gioire
tutta Roccaporena, che per anni ne aveva dovuto subire le angherie. I
figli Giangiacomo Antonio e Paolo Maria, crebbero educati da Rita
Lottius secondo i principi che le erano stati inculcati dai suoi
genitori, ma essi purtroppo assimilarono anche gli ideali e regole della
comunità casciana, che fra l’altro riteneva legittima la vendetta. E
venne dopo qualche anno, in un periodo non precisato, che a Rita
morirono i due anziani genitori e poi il marito fu ucciso in
un’imboscata una sera mentre tornava a casa da Cascia; fu opera
senz’altro di qualcuno che non gli aveva perdonato le precedenti
violenze subite. Ai
figli ormai quindicenni, cercò di nascondere la morte violenta del
padre, ma da quel drammatico giorno, visse con il timore della perdita
anche dei figli, perché aveva saputo che gli uccisori del marito, erano
decisi ad eliminare gli appartenenti al cognome Mancini; nello stesso
tempo i suoi cognati erano decisi a vendicare l’uccisione di Fernando
Mancini e quindi anche i figli sarebbero stati coinvolti nella faida di
vendette che ne sarebbe seguita. Narra
la leggenda che Rita per sottrarli a questa sorte, abbia pregato Cristo
di non permettere che le anime dei suoi figli si perdessero, ma
piuttosto di toglierli dal mondo, “Io te li dono. Fà di loro secondo la
tua volontà”. Comunque un anno dopo i due fratelli si ammalarono e
morirono, fra il dolore cocente della madre. S.
Rita è un modello di donna adatto per i tempi duri. I suoi furono
giorni di un secolo tragico per le lotte fratricide, le pestilenze, le
carestie, con gli eserciti di ventura che invadevano di continuo
l’Italia e anche se nella bella Valnerina questi eserciti non passarono,
nondimeno la fame era presente. Ormai
libera da vincoli familiari, si rivolse alle Suore Agostiniane del
monastero di S. Maria Maddalena di Cascia per essere accolta fra loro;
ma fu respinta per tre volte, nonostante le sue suppliche. I motivi non
sono chiari, ma sembra che le Suore temessero di essere coinvolte nella
faida tra famiglie del luogo e solo dopo una riappacificazione, avvenuta
pubblicamente fra i fratelli del marito ed i suoi uccisori, essa venne
accettata nel monastero. Per
la tradizione, l’ingresso avvenne per un fatto miracoloso, si narra che
una notte, Rita come al solito, si era recata a pregare sullo “Scoglio”
(specie di sperone di montagna che s’innalza per un centinaio di metri
al disopra del villaggio di Roccaporena), qui ebbe la visione dei suoi
tre santi protettori, che
la trasportarono a Cascia, introducendola nel monastero, si cita l’anno
1407; quando le suore la videro in orazione nel loro coro, nonostante
tutte le porte chiuse, convinte dal prodigio e dal suo sorriso,
l’accolsero fra loro. Quando
avvenne ciò Rita era intorno ai trent’anni e benché fosse illetterata,
fu ammessa fra le monache coriste, cioè quelle suore che sapendo leggere
potevano recitare l’Ufficio divino, ma evidentemente per Rita fu fatta
un’eccezione, sostituendo l’ufficio divino con altre orazioni. La
nuova suora s’inserì nella comunità conducendo una vita di esemplare
santità, praticando carità e pietà e tante penitenze, che in breve
suscitò l’ammirazione delle consorelle. Devotissima alla Passione di
Cristo, desiderò di condividerne i dolori e questo costituì il tema
principale delle sue meditazioni e preghiere. Gesù
l’esaudì e un giorno nel 1432, mentre era in contemplazione davanti al
Crocifisso, sentì una spina della corona del Cristo conficcarsi nella
fronte, producendole una profonda piaga, che poi divenne purulenta e
putrescente, costringendola ad una continua segregazione. Si
era talmente immedesimata nella Croce, che visse nella sofferenza gli
ultimi quindici anni, logorata dalle fatiche, dalle sofferenze, ma anche
dai digiuni e dall’uso dei flagelli, che erano tanti e di varie specie;
negli ultimi quattro anni si cibava così poco, che forse la Comunione
eucaristica era il suo unico sostentamento e fu costretta a restare
coricata sul suo giaciglio. E
in questa fase finale della sua vita, avvenne un altro prodigio,
essendo immobile a letto, ricevé la visita di una parente, che nel
congedarsi le chiese se desiderava qualcosa della sua casa di
Roccaporena e Rita rispose che le sarebbe piaciuto avere una rosa
dall’orto, ma la parente obiettò che si era in pieno inverno e quindi
ciò non era possibile, ma Rita insisté. Tornata
a Roccaporena la parente si recò nell’orticello e in mezzo ad un
rosaio, vide una bella rosa sbocciata, stupita la colse e la portò da
Rita a Cascia, la quale ringraziando la consegnò alle meravigliate
consorelle. Così
la santa vedova, madre, suora, divenne la santa della ‘Spina’ e la
santa della ‘Rosa’; nel giorno della sua festa questi fiori vengono
benedetti e distribuiti ai fedeli. Il
22 maggio 1447 Rita si spense, mentre le campane da sole suonavano a
festa, annunciando la sua ‘nascita’ al cielo. Si narra che il giorno dei
funerali, quando ormai si era sparsa la voce dei miracoli attorno al
suo corpo, comparvero delle api nere, che si annidarono nelle mura del
convento e ancora oggi sono lì, sono api che non hanno un alveare, non
fanno miele e da cinque secoli si riproducono fra quelle mura. Il
corpo riposa incorrotto in un’urna trasparente, esposto alla
venerazione degli innumerevoli fedeli, nella cappella della santa nella
Basilica-Santuario di S. Rita a Cascia.
Patronato: Donne maritate infelicemente, Casi disperati
Etimologia: Rita = accorc. di Margherita
Autore: Antonio Borrelli
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