Sacerdote e martire
Nacque a Teocaltiche, Jalisco (Diocesi di Aguascalientes)
il 27 febbraio 1859-
Yahualica 21 aprile del 1927
La sua, molto probabilmente, non sarebbe che
la storia di un povero parroco messicano, che senza il martirio oggi
non sarebbe più neanche ricordato. Viene da una famiglia, profondamente
cristiana e che non può permettersi di farlo
studiare, per cui lui a 18 anni sa a malapena leggere e scrivere. In
compenso, ha le idee molto chiare su cosa fare da grande: entrare in
seminario e farsi prete. Malgrado gli manchino le basi culturali e deve
ricominciare da zero, avendo già dimenticato il poco che gli han
insegnato, prete lo diventa per davvero, il 30 novembre 1890: a 31 anni
compiuti, dopo aver faticato sui libri e non aver particolarmente
brillato negli studi. Ai superiori, però, non è sfuggito che quel
ragazzo prega tanto e bene, tanto da invogliare anche gli altri a
pregare. Non si dovranno mai pentire di questa decisione. Dopo i primi
anni di tirocinio pastorale, viene nominato parroco: due anni qui, dieci
anni là, da una parrocchia all’altra, come tutti i preti che non
mettono radici e che sono a servizio della fede altrui, ovunque li si
mandi. In tutte i posti dove va, come cardini della sua pastorale,
diffonde la devozione mariana e impianta l’adorazione eucaristica, in
special modo quella notturna. Soprattutto, in ogni posto, i parrocchiani
lo vedono pregare e restano incantati ad ammirarlo quando recita il
breviario: in quei momenti davvero parla con Dio, e glielo si legge in
faccia. A gennaio 1914 lo mandano a Nochistlan, dove resterà fino alla
morte. Qui, però, non riesce ad accontentare tutti: una larga fascia di
parrocchiani preferirebbe a lui un altro prete, forse più brillante,
certamente più acculturato. Glielo fanno capire anche apertamente, come
quella volta che legano alla porta della canonica un asino, già bardato
per il viaggio: un messaggio, neanche troppo implicito, per dirgli come
essi lo ritengono e che lo invitano, ad andare altrove. Lui continua
imperterrito, in obbedienza al vescovo e alla sua coscienza, soffrendo
in silenzio, spendendosi senza riserve. Con la persecuzione messicana,
quando ha davanti a sè l’alternativa di fuggire oppure di darsi alla
clandestinità per continuare a servire di nascosto i parrocchiani, lui
sceglie quest’ultima strada, certamente la più rischiosa ed impegnativa.
Con la copertura dei parrocchiani generosi, spostandosi da un
nascondiglio all’altro, continua a celebrare di nascosto, amministrare i
sacramenti, sostenere la fede. “Sarei contento di offrire il mio sangue
per la parrocchia”, gli scappa di dire il 18 aprile 1927, mentre sta
pranzando in una casa ospitale, ad una dei commensali che si augura che i
persecutori non vengano a cercarli proprio lì. Sono parole profetiche:
la notte seguente, su segnalazione di un contadino al quale il parroco
non era mai andato a genio, 300 soldati circondano la casa che lo sta
ospitando: il parroco è addormentato e lo portano via così, con addosso
appena la biancheria intima. Legato come un delinquente, costretto a
correre per tenere il passo dei cavalli al galoppo, viene trasferito a
Yahualica . Solo uno dei soldati ha compassione di quel prete quasi
settantenne e lo fa salire a cavallo, ma si attira la derisione e la
rabbia dei commilitoni. Di notte in cella, di giorno legato ad una
colonna della piazza, esposto alla berlina dei passanti e costantemente
piantonato dai soldati, si moltiplicano gli sforzi per ottenere la sua
liberazione: persone influenti arrivano a contrattare il prezzo della
liberazione direttamente con il colonnello, ma questi, appena intascato
il riscatto, ordina la fucilazione del prete. Lo portano via di notte,
il 21 aprile, per evitare una sommossa popolare, ma la gente si raduna
ugualmente per accompagnarlo al martirio, chiedendo a gran voce la sua
liberazione e i soldati hanno il loro daffare per tenerla a bada.
Silenzioso in vita, ancor più in morte, ma il suo è un silenzio troppo
eloquente, come quello del Cristo sulla strada del Calvario. Così,
quando viene ordinato di far fuoco, insieme a lui devono fucilare anche
il soldato Antonio Carrillo Torres, che si è rifiutato di puntare l’arma
contro quel prete innocente e inerme: un pentimento forse tardivo, ma
sempre in tempo utile per trovare la strada del cielo. Proprio come
sulla croce. Beatificato nel 1992, don Román Adame Rosales è stato
canonizzato nel 2000 da Giovanni Paolo II.
Autore: Gianpiero Pettiti
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