venerdì 12 agosto 2016

Quei tre militi quasi ignoti 12 agosto del 1944.


Fiesole, vicino a Firenze, è ancora nelle mani dei nazisti. Tre carabinieri offrono la loro vita in cambio della liberazione di dieci ostaggi. Storia di un sacrificio eroico, simile a quello di Salvo D’Acquisto, ma poco conosciuto
Nessuno li ricorda più, se non una lapide presso il Palazzo comunale e un monumento, uno dei tanti che s’incontrano nei parchi e nelle piazze italiane, raffigurante una specie di tenaglia che tenta di spegnere una fiamma. Una fiamma, come quella che adorna i berretti dei carabinieri. Una storia di eroismo, o forse di semplice bontà, che sicuramente merita la nostra gratitudine.
A narrarla è un piccolo libricino edito negli anni Settanta, scritto con stile asciutto, che non concede nulla al pietismo e alla ridondanza. Quasi un rapporto.
Firenze è uno degli obiettivi principali dell’avanzata delle forze alleate. Poco lontane da questa, le colline di Fiesole costituiscono per i nazisti una zona nevralgica per tentare di contrastare la manovra alleata. Allo scopo di martellare la pianura sottostante, nella cittadina è installato un pezzo di artiglieria da 88, che spara alternativamente da due diverse postazioni per confondere le truppe nemiche. Il presidio nazista ha il compito di vigilare sulle strade di accesso a Firenze. A prendere parte attiva alla lotta partigiana della zona, anche i carabinieri di stanza a Fiesole. Infatti, al vicebrigadiere Giuseppe Amico, il comandante della stazione locale dei carabinieri, è affidato il comando di una delle otto squadre d’azione della Brigata V. Un’attività dissimulata, che convive col consueto servizio che le forze dell’ordine svolgono nelle vie della cittadina occupata dai nazisti. ll 27 luglio 1944 alla stazione dei carabinieri arriva una chiamata in codice. Il vicebrigadiere Amico viene informato che sta per essere inviata presso Fiesole una staffetta con l’incarico di consegnare ai partigiani un plico contenente ordini operativi destinati alla seconda Brigata Rosselli. La sera del giorno successivo si presenta al comando un ragazzo di 19 anni, Leonardo Lunari. Amico incarica tre carabinieri di accompagnare il ragazzo al luogo in cui dovrà consegnare il messaggio ad un’altra staffetta. Il gruppo si avvia al luogo indicato, con il messaggio nascosto nel tacco della scarpa del carabiniere Pasquale Ciofini. Giunti sul luogo dello scambio, presso la chiesa di San Clemente, arriva una camionetta di tedeschi. Lunari, impaurito, scappa. I tedeschi lo notano. Si scatena un conflitto a fuoco tra i tre uomini dell’Arma e i nazisti. Nonostante siano messi in fuga, i nazisti riescono a catturare Lunari e uno dei militi, Sebastiano Pandolfo. I due prigionieri sono portati presso una fattoria, nella quale vengono interrogati e torturati per ore, per poi essere uccisi nei giorni successivi. Oltre al dolore, nel comando di Fiesole c’è preoccupazione: la cattura di Pandolfo potrebbe far scoprire la loro attività clandestina a fianco dei partigiani. Il vicebrigadiere Amico viene convocato al comando nazista dove il tenente Hiesserich lo sottopone a un fuoco di fila di domande. Amico si mostra incredulo riguardo all’attività partigiana del suo sottoposto, e spiega che lo stesso si era arbitrariamente allontanato dal reparto nei giorni precedenti. Spiegazioni che non convincono fino in fondo l’interlocutore. In particolare Amico ha sentore che uno dei suoi sottoposti, Ciofini, che aveva partecipato al conflitto a fuoco presso San Clemente, sia stato individuato e lo allontana dalla stazione con un permesso di convalescenza. Siamo agli inizi di agosto: la pressione su Firenze da parte delle forze alleate è ormai insostenibile. I nazisti fanno saltare tutti i ponti del capoluogo toscano, eccetto il Ponte Vecchio. A Fiesole un bando ordina l’immediata presentazione di tutti gli uomini abili compresi tra i 17 e i 45 anni, che saranno destinati a compiti di supporto civile all’esercito occupante. Alcuni si presentano, altri fuggono, altri ancora trovano rifugio presso il seminario e la Cattedrale. Le donne, i vecchi e gli stessi carabinieri aiutano come possono i fuggitivi, facilitandone la fuoriuscita clandestina e portando loro vettovaglie nei rifugi improvvisati. Il 6 agosto Amico viene arrestato e inviato in un campo di prigionia, dal quale riuscirà a fuggire pochi giorni dopo per unirsi ai partigiani. I nazisti arrestano dieci uomini, scelti a caso tra i cittadini di Fiesole. Un’azione preventiva, tesa a scoraggiare atti ostili. Nonostante la perdita del loro comandante, i carabinieri rimasti alla stazione di Fiesole, Vittorio Marandola, Fulvio Sbarretti e Alberto La Rocca, non cessano la loro attività clandestina, alla quale, come sempre, si affiancano i compiti ordinari. Così Amico, dalla clandestinità, fa pervenire un messaggio in cui ordina loro di abbandonare la stazione per raggiungerlo a Firenze, travestendosi da “fratelli della misericordia”, una confraternita che, svolgendo assistenza sanitaria sia ai civili italiani che ai militari tedeschi, aveva piena libertà di movimento e garantiva l’anonimato. I tre carabinieri fanno quanto ordinato e, abbandonato il comando, raggiungono la sede della confraternita. Ma è troppo tardi: i posti di blocco tedeschi ormai sono stati chiusi a tutti, compresi i membri della confraternita.
Il tenente Hiesserich viene informato della scomparsa dei carabinieri e va su tutte le furie. Hiesserich, a muso duro, urla che i carabinieri si devono consegnare, pena l’uccisione degli ostaggi. Uno dei due funzionari, il segretario comunale, corre subito dal vescovo, monsignor Giovanni Georgis, e lo informa dell’accaduto. Decidono di avvertire i tre fuggiaschi. Così avviene e, dopo un breve consulto, i carabinieri decidono che Marandola si rechi a parlare con monsignor Turini. Di questo colloquio non sappiamo molto. Una cosa certa è che monsignor Turini non fa alcuna pressione su Marandola. La situazione è drammatica, l’ultimatum dei nazisti chiaro, ma i tre sono liberi di fare quello che meglio credono. Marandola torna a riferire agli altri. Intanto la voce si è sparsa per tutta la cittadina. Tutta Fiesole è col fiato sospeso. Tutti conoscono quei militari che nella situazione tormentata di quei giorni bui si sono prodigati per loro. È il primo pomeriggio del 12 agosto quando i carabinieri si recano da monsignor Turini a comunicare la loro decisione. Subito dopo, percorrendo le assolate strade di Fiesole, si avviano al comando tedesco dove subiscono un breve interrogatorio. Verso sera escono dal comando; destinazione: albergo Aurora, requisito dai tedeschi per farne un posto di blocco lungo la via per Firenze. Dopo una brevissima detenzione, sono condotti in un giardino attiguo e fucilati. Sono le 20 e 30 quando i carabinieri Vittorio Marandola, Fulvio Sbarretti e Alberto La Rocca rendono il loro ultimo servizio all’Arma e all’Italia che di lì a poco sarà liberata.

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