domenica 24 aprile 2016

Il coraggio di dire no. Lea Garofalo, la donna che sfidò la 'ndrangheta

Lea Garofalo
Testimone di giustizia sottoposta a protezione dal 2002, decise di testimoniare sulle faide interne tra la sua famiglia e quella del suo ex compagno Carlo Cosco. L'azione di repressione del clan Garofalo si concretizza il 7 maggio 1996, quando i carabinieri di Milano svolgono un blitz in via Montello 6 e arrestano anche Floriano Garofalo, fratello di Lea, boss  dedito al controllo dell'attività malavitosa nel centro lombardo. Floriano Garofalo, nove anni dopo l'arresto e dopo l'assoluzione al processo, viene assassinato in un agguato nella frazione Pagliarelle, Policastro il 7 giugno 2005. In particolare, Lea, interrogata dal Pubblico ministero Antimafia, riferì dell'attività di spaccio di stupefacenti condotta dai fratelli Cosco grazie al benestare del boss Tommaso Ceraudo. Inoltre, Lea dichiara al Pubblico ministero «L'ha ucciso Giuseppe Cosco, mio cognato, nel cortile nostro», attribuendo così la colpa dell'omicidio al cognato, Giuseppe e all'ex convivente, Carlo Cosco, e fornendo anche il movente. Ammessa già nel 2002 nel programma di protezione insieme alla figlia Denise e trasferita a Campobasso, si vede estromessa dal programma nel 2006 perché l'apporto dato non era stato significativo. La donna si rivolge allora prima al TAR, che le dà torto, e poi al Consiglio di Stato, che le dà ragione. Nel dicembre del 2007 viene riammessa al programma, ma nell'aprile del 2009 – pochi mesi prima della sua scomparsa – decide all'improvviso di rinunciare volontariamente a ogni tutela e di riallacciare i rapporti con Petilia Policastro rimanendo però a vivere a Campobasso per permettere alla figlia di terminare l'anno scolastico. La nuova abitazione trovata a Campobasso ha la lavatrice rotta. Questo particolare lo conosce anche Carlo Cosco, che nel frattempo vive tra Milano e Petilia Policastro. Il 5 maggio 2009, si presenta un tecnico per riparare la lavatrice. È Massimo Sabatino, non un idraulico ma un trentasettenne recatosi sul posto per rapire e uccidere Lea Garofalo. La donna riesce a sfuggire all'agguato grazie al tempestivo intervento della figlia Denise (che sarebbe dovuta essere a scuola) e informa i carabinieri dell'accaduto ipotizzando il coinvolgimento dell'ex compagno. Le indagini sul tentativo di rapimento avranno un'accelerazione solo dopo la sua scomparsa a Milano il 24 novembre dello stesso anno. (il 4 febbraio del 2010 viene adottata una Misura Cautelare nei confronti di Carlo Cosco e Massimo Sabatino - già detenuto nel carcere di Milano dal dicembre del 2009 per spaccio di stupefacenti). Il 20 novembre del 2009 Cosco attirò l'ex compagna a Milano, anche con la scusa di parlare del futuro della loro figlia Denise. La sera del 24 novembre, approfittando di un momento in cui Lea rimane da sola senza Denise, Carlo la conduce in un appartamento che si era fatto prestare proprio per quello scopo. Ad attenderli in casa c'è Vito Cosco. In quel luogo Lea viene uccisa. A portar via il cadavere da quell'appartamento saranno poi Carmine Venturino, Rosario Curcio e Massimo Sabatino. Il corpo di Lea viene infatti portato a San Fruttuoso, un quartiere di Monza, dove viene poi dato alle fiamme per tre giorni fino alla completa distruzione.Le indagini per la scomparsa e l'omicidio di Lea Garofalo, coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia di Milano, portano a spiccare mandati di arresto, nell'ottobre 2010, a Carlo Cosco, Massimo Sabatino, Giuseppe Cosco, Vito Cosco, Carmine Venturino e Rosario Curcio. Pochi mesi prima, il 24 febbraio, erano già state arrestate altre due persone, di Cormano, per aver messo a disposizione il terreno di San Fruttuoso dove il corpo della donna sarebbe stato portato dopo l'omicidio. Il processo vede come testimone chiave la presenza della figlia della donna che ha deciso di testimoniare contro suo padre.Dopo la sentenza di primo grado Carmine Venturino decide di fare alcune dichiarazioni. Queste permetteranno di rinvenire i resti della testimone di giustizia proprio nel terreno di San Fruttuoso (circa 2000 frammenti ossei rinvenuti a seguito di un vero e proprio scavo archeologico fatto dagli inquirenti in collaborazione con l'Istituto di Medicina Legale di Milano). Il 28 maggio 2013 la Corte d'assise d'appello di Milano conferma 4 dei 6 ergastoli inflitti in primo grado. Conferma l'ergastolo per Carlo e Vito Cosco, Rosario Curcio e Massimo Sabatino; 25 anni di reclusione per Carmine Venturino e assoluzione per non aver commesso il fatto per Giuseppe Cosco; inoltre la Corte ha disposto il risarcimento dei danni per le parti civili: la figlia, la madre e la sorella di Lea Garofalo e il comune di Milano. Il 18 dicembre 2014 le condanne della Corte d'Assise d'Appello di Milano vengono tutte confermate dalla Cassazione che le rende definitive.

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